giovedì 2 febbraio 2017

"MUSLIM-BAN" SENZA "ARMS-BAN": LICENZA DI GUERRA

Muslim-ban: Nell'era della globalizzazione, questa misura restrittiva di acceso agli USA riesce ad impressionare anche un qualunque (lucido) nazionalista.

Una misura ancor più disorientante se si pensa che è stata partorita dalla patria della "libertà che illumina il mondo", madre delle masse desiderose di respirare libertà, come recita il celebre sonetto ad essa dedicato dalla poetessa ebrea Emma Lazarus, The New Colossus, inciso su rame ai piedi della statua: ".....Qui, dove si infrangono le onde del nostro mare. Si ergerà una donna potente con la torcia in mano, la cui fiamma è un fulmine imprigionato, e avrà come nome Madre degli EsuliIl faro nella sua mano darà il benvenuto al mondo..... A me date i vostri stanchi, i vostri poveri, le vostre masse infreddolite desiderose di respirare liberi, i rifiuti miserabili delle vostre spiagge affollate. Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dalle tempeste, e io solleverò la mia fiaccola accanto alla porta dorata".

Nel discorso di insediamento di Trump, poteva apparire altamente rassicurante la promessa di "cancellare il terrorismo islamico dalla faccia della terra". Di fronte al dilagare di un'incontrastata follia jihadista, che annulla e vanifica ogni tentativo difensivo sperimentato dagli Stati occidentali, il bisogno di sicurezza è sempre più legittimo e consolidato. Cosicché, ogni falla nelle misure di sicurezza messe in campo contro gli attentati terroristici, innesca il divampare (insieme al dolore ed al terrore) dell'insofferenza per i limiti delle strategie messe in atto, al punto da far cedere qualcuno alla tentazione xenofoba.

La difesa dei nostri confini, allora, si trasforma in una chiusura generalizzata ed il nazionalismo degenera in estremismo. Il provvedimento di Trump, è stato bersaglio di aspre contestazioni soprattutto laddove la stretta su immigrati e rifugiati si traduce in sospetto generalizzato sulla base della provenienza o della credenza religiosa. Così si è espressa la Merkel. D'altra parte, Miss Europa non rappresenta affatto il prototipo di credibilità nelle politiche sull'immigrazione e, al di là delle sue sentenze tombali annunciate con diplomatica puntualità, dovrebbe offrirci qualcosa di concreto a riguardo: soprattutto a noi italiani ed ai nostri cugini greci, sui quali ricade ancora in larga misura in problema della gestione di queste emergenze.

La polizia di frontiera mantiene "l'autorità discriminatoria" di trattenere e sottoporre a interrogatorio viaggiatori sospetti che provengano da taluni paesi: ma in ciò è mantenuto un approccio che ad ogni frontiera viene applicato in maniera indiscriminata ad ogni viaggiatore. L'unica differenza, sostanziale, è la discriminazione: ovvero, un approccio ora applicato in via esclusiva ai cittadini provenienti dai 7 Paesi in prevalenza musulmani (Iran, Siria, Iraq, Libia, Sudan, Yemen e Somalia) oggetto del Bando.

L'ordine esecutivo di Trump, in effetti, ha benservito il pane per i propri denti ai moralisti di tutto il mondo. In un contesto globale in cui tutto è altamente politicizzato, laddove l'economia politica ha preso il posto dell'ideologia e tesse le fila del fluttuare dei tempi di magra e di piena dei vari Paesi, la cultura tout court cerca famelicamente un appiglio cui aggrapparsi per dimostrare che esiste e che conta per cambiare il mondo (suo scopo precipuo laddove, però, anch'essa non sia veicolata da mission strumentali).

E' facile, allora, cedere all'insidia della demagogia con prese di posizione in difesa o condanna di un provvedimento, ritratto ad arte con le dovute esagerazioni caricaturali da entrambe le parti, che si prestano ad innescare la miccia delle contrapposizioni ideologiche: tanto più agognate quanto più evanescenti in una società liquida basata sulla mercificazione delle esistenze, come diceva l'estinto Zygmunt Bauman.

Al di là del nostro comune ed atavico bisogno di prendere posizione, sempre più deprivato dalla società postmoderna, a volte torna ad essere importante l'atteggiamento di sospensione del giudizio per la ricerca della verità: per disinnescare la portata di contrapposizioni esasperate ad hoc, potremmo iniziare a restituire ai fatti la loro reale portata.

Allora, usando il detonatore dell'epoché, si rifletta sul fatto che è una misura temporanea l’ordine esecutivo del Presidente che ha vietato per 120 giorni l’ingresso negli Usa a tutti i rifugiati e per 90 giorni ai cittadini dei 7 Paesi in prevalenza musulmani e che non sono mancate eccezioni per cui Trump ha poi derogato esentando ufficialmente dal divieto i possessori di “green card” e di autorizzazioni permanenti alla residenza negli Stati Uniti. In quanto misura temporanea, quindi, rinvia ad altro, nello specifico ad una rivisitazione dei criteri per il rilascio dei visti. Allora ci si potrà legittimamente pronunciare.

D'altra parte, le obiezioni ad un presunto buon nazionalismo di Trump non si contano: restano, infatti, esclusi dal divieto altri paesi più "a rischio" in cui storicamente si sono formati e preparati atti di terrorismo più comprovati (Afghanistan, Pakistan, Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti) ed il dubbio rimanda a ragioni di interesse economico ed agli affari del presidente Trump con i paesi esclusi dalla lista.

L'iperitura questione morale su come rispondere alla violenza, per cui c'è chi sostiene che sia necessario rispondere con la pace alla guerra e chi ritiene, invece, che senza guerra non si da pace, è una questione sempre aperta: la pace è un obiettivo, uno scopo, un alto valore che tutto il mondo civile brama. Ma anche la guerra è voluta, evidentemente, e non solo dalla porzione incivile del mondo: un ARMS-BAN con divieto di vendita ed esportazione di armi ai paesi "a rischio", è un provvedimento che nessun civile Stato Europeo, tanto pronto a puntare il dito contro muslim-ban di Trump, ha fino ad oggi nemmeno contemplato. Con buona pace della Merkel e dei nostri leaders di sinistra.

(di Carlotti Michela)

giovedì 26 gennaio 2017

IL VERDETTO DELLA CONSULTA: VOTARE SI PUO'!

Il comunicato della Corte Costituzionale sulla decisione assunta ieri in merito all'Italicum, nella parte finale recita: "All’esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione".

La sentenza non è un capolavoro ma, va detto, non era nemmeno preposta ad esserlo. Così, ha mantenuto l'impianto complessivo dell'Italicum con una correzione proporzionale che è già stata definita da alcuni un sistema  “proporzionario” ovvero proporzionale se nessuno prende il 40% e maggioritario se uno lo prende. 

D'altronde, il sistema bipolaristico della politica italiana è venuto meno ed ha ceduto il passo ad un panorama principalmente quadripolare in cui, va da sé, un quantum di proporzionalismo si rende assolutamente necessario.

Quindi, al di là di ogni sindacabile giudizio sulla sentenza, la legge elettorale ce l'abbiamo.
In un'intervista rilasciata all'Ansa dal Presidente emerito della Consulta, Valerio Onida ha dichiarato "Se i giudici avessero operato un’amputazione drastica, non sarebbe possibile andare alle urne prima dell’intervento di una nuova legge. Questa possibilità, invece, è assicurata".

In teoria, dunque, si potrebbe andare al voto subito: ma, in pratica non è detto.
Verificata la conformità alla Costituzione delle specifiche norme censurate e la possibilità immediata di procedere ad elezioni con la restante normativa, la Consulta ha esaurito il suo ruolo, ma ciò non impedisce al Parlamento di confezionare anche una nuova legge elettorale, espressione della più ampia discrezionalità legislativa.

Le reazioni delle varie forze politiche alla sentenza, costituiscono di per sé un chiaro spartiacque che divide i partitini animati dall'irragionevolezza dell'interesse esclusivo per la propria sopravvivenza, da quelli principalmente rappresentativi dell'elettorato.

Tra chi invoca le urne subito, ci sono il M5S, Lega, Fratelli d'Italia e PD; tra chi sostiene che la sentenza della Consulta non escluda un passaggio parlamentare per trovare un'intesa sull'armonizzazione delle leggi elettorali delle due Camere, si allenano Nuovo Centro Destra, Forza Italia, Sinistra italiana e le ali bersaniana e cuperloniana del PD.

Ed è proprio questo il punto: la non-applicazione della legge elettorale uscita dalla Consulta (e quindi il rinvio del voto) in virtù di una fantomatica necessità preventiva di omogeneizzare le leggi elettorali vigenti per le due Camere, rasenta una manifesta irragionevolezza!

Si, perché in questo caso la legge elettorale "di risulta", è complessivamente idonea a garantire il rinnovo dell'organo costituzionale elettivo. La volontà di rinvio, dunque, altro non è che il malcelato tentativo delle forze politiche minoritarie di escogitare virtuosistiche produzioni legislative atte al loro salvataggio elettorale o, nella peggiore delle ipotesi, a far scattare il termine per il vitalizio dei propri parlamentari.

Questa letio brevis ricavata dall'evidenza dei fatti, valga come monito alle futuribili elezioni per gli indecisi cronici e per gli affezionati nostalgici di un passato politico che è ormai alla resa dei conti. Nondimeno, resta il pronunciamento della Corte Costituzionale che con sentenza 1/2014 ha dichiarato che anche la discrezionalità legislativa del Parlamento non è esente da censura in caso di manifesta irragionevolezza.

di Michela Carlotti

Configurare Idee: IL VERDETTO DELLA CONSULTA: VOTARE SI PUO'!

Configurare Idee: IL VERDETTO DELLA CONSULTA: VOTARE SI PUO'!: Il comunicato della Corte Costituzionale sulla decisione assunta ieri in merito all'Italicum, nella parte finale recita: " All’esi...

sabato 21 gennaio 2017

L'ERA di Donald Trump - America First

Cosa c’è di allarmante nel discorso di insediamento del 45^ Presidente degli Stati Uniti? “Trump, il discorso populista e xenofobo segna la fine di un’epoca. E l’inizio del nazionalismo economico” è il titolo che appare oggi nell’analisi di un giornalista del Fatto Quotidiano.
Le mie orecchie hanno udito qualcosa di diverso e nella pur scolastica traduzione dello slang americano, ho capito che “Oggi è una cerimonia storica. Il potere viene trasferito dalla politica al popolo, a voi americani. Per troppo tempo i politici hanno prosperato ed il cittadino non è mai stato protetto“. Sicuramente una connotazione populistica, ma non vedo il problema ed anzi, se fossi americana, avrei colto con grande rassicurazione questo slancio.
Al di là del fatto oggettivo che è impossibile fare anticipazioni fondate e credibili su quel che sarà l’evoluzione della politica del nuovo Presidente, a meno di non cadere in pronostici campati in aria ed in anticipazioni della valenza di predizioni del futuro fatte con i tarocchi, un’idea la si può esprimere ma un giudizio dissacrante nel giorno stesso dell’insediamento, è evidentemente strumentalizzazione pura.
Ha ragione Grillo quando urla contro le bufale dei giornali: certi pronostici non si possono proprio sentire, ma prima ancora, non si dovrebbero nemmeno fare. Per il bene della collettività e nel rispetto dell’informazione.
Il populismo evidentemente ha evocato in certo giornalismo, il ricordo delle dittature. Ma la domanda è: come si può continuare a legittimare l’automatismo del collegamento che scatta tra populismo e pericolo della dittatura? La risposta è: l’automatismo è disinnescato nei fatti, dai pesi e contrappesi su cui si fondano i sistemi democratici contemporanei e che rendono impossibile il ritorno di fantasmi del passato. Inoltre, il collegamento populismo=pericolo viene meno con il richiamo a ben altri significati di cui la storia ha riempito il concetto stesso: basti pensare al peronismo ed alla sua prassi politica tesa al miglioramento delle condizioni di vita delle classi diseredate.
Quindi, calma con le etichette: piuttosto, non stanchiamoci di ragionare! I giudizi condizionano l’opinione pubblica, nel bene e nel male e, onestamente, considero più populista (nell’accezione negativa del termine) un titolo giornalistico come quello di oggi del Fatto Quotidiano, piuttosto che un Presidente che nell’Inaugution-Day dice che “non c’è niente da celebrare per le famiglie che faticano ad arrivare a fine mese“.
Il Fatto insiste nel giudizio :”Un discorso intriso di pesante nazionalismo, di isolazionismo e protezionismo, con accenti esplicitamente xenofobici, rivolto anzitutto al suo popolo, a chi l’ha seguito durante tutta la campagna elettorale e che l’ha votato” ed azzarda un anacronistico collegamento col vecchio isolazionismo del periodo coloniale che tornerebbe, dunque, ad essere un pilastro della politica estera americana.
Anche in questo giudizio le forzature sono evidentemente devastanti per la buona e corretta informazione. A meno che neppure l’inglese scolastico mi salvi da un’assoluta ignoranza linguistica, quello che ho tradotto del discorso di Trump è tutt’altro: un’agenda economica che punta a riportare in patria gli investimenti ed a favorire il prodotto nazionale, che è qualcosa di completamente diverso dall’evocato isolazionismo coloniale e dal protezionismo proibizionista americano degli anni venti!
Se poi a questi annunci di Trump, si aggiunge la sua promessa di “cancellare il terrorismo islamico dalla faccia della terra“,  pur non essendo americana mi sento rassicurata in quanto cittadina del mondo, piuttosto che allarmata come qualcuno vorrebbe forzando sulla sottesa (ma fin troppo chiara) preoccupazione dell’ingabbiamento della sinistra sotto Trump.
Purtroppo, l’onestà intellettuale latita e “Ci saranno sempre degli Eschimesi pronti a dettar norme su come devono comportarsi gli abitanti del Congo durante la calura” (Stanislaw Jerzy Lec).
di Michela Carlotti

lunedì 16 gennaio 2017

Configurare Idee: LA BUONA SCUOLA...A RICREAZIONE!

Configurare Idee: LA BUONA SCUOLA...A RICREAZIONE!: Dopo la pronuncia della Consulta che ha salvato di fatto l’impianto complessivo della Legge 107/2015, il Consiglio dei Ministri del 14 genn...

LA BUONA SCUOLA...A RICREAZIONE!

Dopo la pronuncia della Consulta che ha salvato di fatto l’impianto complessivo della Legge 107/2015, il Consiglio dei Ministri del 14 gennaio 2017 ha approvato 8 delle 9 deleghe previste. Materie oggetto delle deleghe: inclusione scolastica, cultura umanistica, diritto allo studio, formazione iniziale e accesso all'insegnamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado, istruzione professionale, scuole italiane all'estero, sistema integrato di istruzione dalla nascita fino a sei anni, valutazione e certificazione delle competenze ed Esami di stato.

Materie delicate ed importanti, dunque, che secondo i sindacati avrebbero dovuto essere affrontate in maniera diversa, con un confronto reale e costruttivo tra le forze sindacali, le associazioni e le varie rappresentanze. La pressante sentenza europea che ha intimato la stabilizzazione degli insegnanti precari, ha però dettato i tempi di approvazione di un decreto che meritava più attenzione su alcune questioni sostanziali, ma anche merito. Nella sostanza, ad esempio, difficilmente saranno prodotte le 250 mila assunzioni attese.

Una delle questioni cruciali del pacchetto buona scuola, riguarda la riforma della formazione e del reclutamento del personale, per cui cambia l'iter di reclutamento dei docenti: spariscono le graduatorie ad esaurimento e viene prevista la partecipazione ad un concorso (che avrà una cadenza triennale) riservato ai laureati, il superamento del quale da diritto di accesso ad un percorso formativo triennale che si conclude con l'assunzione a tempo indeterminato. Naturalmente, i sindacati sono entrati a gamba tesa su questa questione, poiché non sono chiari i passaggi della fase transitoria prevista dal decreto per chi è già iscritto nelle graduatorie di istituto.

Tralasciando osservazioni prettamente tecniche sulla riforma avviata da Renzi nel 2015, mi concedo piuttosto un giudizio di merito su un aspetto particolare dell'impianto complessivo. A partire dalla questione appena esposta, si comprende che anche le insegnanti dell'asilo nido dovranno essere in possesso di laurea triennale.

Un balzello di non poco conto, entro un sistema-lavoro in cui al crescente livello di professionalità richieste per l'accesso alle varie competenze, non corrisponde una proporzionata offerta di lavoro. E' un fatto che per accedere ai concorsi per categorie D nella pubblica Amministrazione (e non stiamo parlando della NASA) non siano sufficienti le lauree magistrali umanistiche, e che pertanto un laureato in lettere (salvo particolari ed eccezionali concorsi) potrà concorrere solo per le categorie C, ovvero per quelle aperte ai diplomi generici.

Siamo spettatori di una sclerotizzazione della formazione professionalizzante, a cui non solo non corrisponde una proporzionata offerta lavorativa, ma a cui fa anche da contraltare un discapito generale della formazione culturale. Ciò è visibile nei dati in aumento del fenomeno di disaffezione ed abbandono (soprattutto tra i maschi nel corso delle scuole superiori) e nell'abbassamento dei livelli di capacità culturale che Tullio De Mauro, illustre italianista, storico e docente universitario, nonché Ministro dell'Istruzione per un breve periodo, aveva annunciato nel corso di un'intervista di circa un anno fa.

I sondaggi fatti durante l'appena trascorsa campagna referendaria, hanno confermato questi dati imbarazzanti che pongono l'Italia prima solo alla Spagna, tra i paesi ricchi in Europa, in termini di conoscenza e competenza. Ben oltre la metà degli italiani intervistati aveva dichiarato di non aver letto la Costituzione italiana attestando di fatto, con questa elevatissima percentuale, l'ampia fetta di popolazione che ha competenze minime per orientarsi nella società contemporanea.

E' evidente, dunque, l'esigenza di agganciare in primis la scuola ai valori fondanti della nostra società, a partire dai valori della Costituzione. Perfino i regimi dittatoriali di massa degli anni Trenta avevano ben compreso il potenziale enorme rappresentato dell'educazione scolastica: una vera e propria industria di reclutamento ove plasmare il consenso. Strumentalizzazioni a parte, va da sé che la scuola sia la culla del senso civico di una nazione: a partire da qui, non si può che biasimare la pressappochezza di una riforma che non incide nel quadro complessivo di riassetto e di organizzazione dell'intero sistema di istruzione.

In questo solco, Vi rimando alla petizione on line che ho lanciato sulla piattaforma change.org proprio in occasione del Referendum di modifica costituzionale: "Educazione civica nelle scuole". La petizione è un prezioso strumento di democrazia diretta, contemplato all'art. 50 della nostra Costituzione che recita:  "Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità".

Si tratta di una petizione di sensibilizzazione e come tale non abbisogna di soglie minime di firmatari. E' diretta al nostro Ministro della Pubblica Istruzione On. Valeria Fedeli ed ha questo contenuto: "I sondaggi referendari 2016 hanno rilevato che la Costituzione non è stata letta da ben oltre la metà degli italiani. Ciò è sintomatico dell'ignoranza politica a cui siamo esposti e formati. Si parla di partecipazione democratica, ma spesso non ne conosciamo le regole. Reintroduciamo l'insegnamento dell'Educazione Civica nelle scuole primarie di primo e secondo grado e l'insegnamento di Diritto Costituzionale in tutte le scuole superiori".

Se credete, sostenetela.





domenica 15 gennaio 2017

La questione morale - da Berlinguer a Grillo.

Era il 26 luglio del 1981 quando, in un'intervista destinata ad entrare nei manuali della storia, rilasciata al fondatore del quotidiano La Repubblica, Eugenio Scalfari, l'allora segretario del Partito Comunista Italiano, Enrico Berlinguer, per la prima volta chiariva cos'era la "questione morale": "I partiti hanno degenerato e questa è l'origine dei malanni d'Italia....I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali".

Prima di lui, già fin dagli albori della nostra vita repubblicana, alcuni illustri politologi avevano intravisto le prospettive degenerative intrinseche di un sistema partitico nazionale caratterizzato da alta frammentazione di potere. Il Testo costituzionale italiano aveva sancito per la prima volta in Europa la rilevanza costituzionale dei partiti politici, cui veniva dedicato un apposito articolo: "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale" - art. 49 Costituzione. Ma già a partire dall'anno successivo all'entrata in vigore della nostra Costituzione, dopo la brevissima esperienza appena intercorsa di collaudo della nuova Repubblica dei partiti e con un certo anticipo rispetto alla grande disputa italiana sui partiti che esplode negli anni cinquanta, lo storico e filosofo del diritto Giacomo Perticone, nella sua relazione presentata nel settembre 1949 al Congresso di Scienze Politiche di Zurigo titolata "Rappresentanza Politica e partito nello Stato contemporaneo" (contenuta nell'opera"Scritti di filosofia giuridica e politica"), avrebbe dato inizio alla sua infaticabile polemica contro la partitocrazia.

La questione morale coincideva, allora, con "l'autocrazia di partito" ovvero con la fenomenologia di una forma-partito che, in quanto organizzata per la disciplina del voto, mette necessariamente in crisi la rappresentanza politica: "Plasticamente vediamo che: quanto più si allarga la base, tanto più si restringe l'apice del partito, fino alla punta di spillo" (G. Perticone, Partito politico in "Novissimo Digesto").

In buona sostanza la questione morale, con varianti di maggior o minor spessore, ha attraversato fin dalla sua nascita il sistema partitico nazionale e, credo di non sbagliare nel dare atto al Movimento Cinque Stelle di averla riproposta, pur con un maldestro tentativo più carico di contraddizioni che di sostanza, alla ribalta delle attuali questioni politiche nazionali. Non si risentano, quindi, gli studiosi della storia politica sempre poco inclini ad accostare la levatura dei nostri padri politici alla farraginosità delle personalità politiche odierne.

Ho già parlato a lungo delle contraddizioni a cinque stelle  ed anche della potenziale pericolosità insita nella destituzione totale del valore delle tradizionali categorie politiche  con la sistematica apologia del Blog assurto a fulcro dell'azione politica e dottrinaria, nel maldestro tentativo di sostituire la democrazia diretta a quella rappresentativa con regole che spesso rasentano l'incostituzionalità.

Basti pensare alle epurazioni/sospensioni/sanzioni previste in caso di mancato rispetto dei principi del Movimento e che, implicitamente impongono agli eletti un vincolo di mandato che contraddice il divieto di mandato imperativo sancito all'art. 67 della Costituzione "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato".

Tale principio, era stato concepito proprio allo scopo, opposto a quello del M5S, di sganciare gli uomini politici dai possibili ricatti di partito, al fine di  garantire la democrazia impegnando l'eletto in via esclusiva al suo impegno politico, piuttosto che al potere del partito. Purtroppo, la storia ci ha anche insegnato di come gli abusi di questo principio abbiano consacrato forme degenerative di trasformismo politico, con le inevitabili frequenti instabilità derivate all'intero sistema politico nazionale.

Pur avendo avuto il merito di averne riproposta la valenza, il M5S non riesce però a portare a soluzione la questione morale che, infatti, non può in alcun modo derivare dalla pericolosa destituzione dei principi costitutivi dello Stato di Diritto che, ipse dixit, conduce alla negazione stessa dei principi democratici che si vogliono difendere.

Quid agendum? Resta da chiedere: come fare? Perticone parlava della partitocrazia come di un problema costituzionale : forse sarebbe ora di intervenire attraverso una revisione dell'intero sistema. A partire dal recupero ad opera della politica di una coerenza con sé stessa, per affrontare con doverosa serietà l'esigenza di produrre le necessarie modifiche, finanche costituzionali che favoriscano la partecipazione democratica e risolvano la distorsione in atto del concetto di rappresentanza politica.