domenica 15 gennaio 2017

La questione morale - da Berlinguer a Grillo.

Era il 26 luglio del 1981 quando, in un'intervista destinata ad entrare nei manuali della storia, rilasciata al fondatore del quotidiano La Repubblica, Eugenio Scalfari, l'allora segretario del Partito Comunista Italiano, Enrico Berlinguer, per la prima volta chiariva cos'era la "questione morale": "I partiti hanno degenerato e questa è l'origine dei malanni d'Italia....I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali".

Prima di lui, già fin dagli albori della nostra vita repubblicana, alcuni illustri politologi avevano intravisto le prospettive degenerative intrinseche di un sistema partitico nazionale caratterizzato da alta frammentazione di potere. Il Testo costituzionale italiano aveva sancito per la prima volta in Europa la rilevanza costituzionale dei partiti politici, cui veniva dedicato un apposito articolo: "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale" - art. 49 Costituzione. Ma già a partire dall'anno successivo all'entrata in vigore della nostra Costituzione, dopo la brevissima esperienza appena intercorsa di collaudo della nuova Repubblica dei partiti e con un certo anticipo rispetto alla grande disputa italiana sui partiti che esplode negli anni cinquanta, lo storico e filosofo del diritto Giacomo Perticone, nella sua relazione presentata nel settembre 1949 al Congresso di Scienze Politiche di Zurigo titolata "Rappresentanza Politica e partito nello Stato contemporaneo" (contenuta nell'opera"Scritti di filosofia giuridica e politica"), avrebbe dato inizio alla sua infaticabile polemica contro la partitocrazia.

La questione morale coincideva, allora, con "l'autocrazia di partito" ovvero con la fenomenologia di una forma-partito che, in quanto organizzata per la disciplina del voto, mette necessariamente in crisi la rappresentanza politica: "Plasticamente vediamo che: quanto più si allarga la base, tanto più si restringe l'apice del partito, fino alla punta di spillo" (G. Perticone, Partito politico in "Novissimo Digesto").

In buona sostanza la questione morale, con varianti di maggior o minor spessore, ha attraversato fin dalla sua nascita il sistema partitico nazionale e, credo di non sbagliare nel dare atto al Movimento Cinque Stelle di averla riproposta, pur con un maldestro tentativo più carico di contraddizioni che di sostanza, alla ribalta delle attuali questioni politiche nazionali. Non si risentano, quindi, gli studiosi della storia politica sempre poco inclini ad accostare la levatura dei nostri padri politici alla farraginosità delle personalità politiche odierne.

Ho già parlato a lungo delle contraddizioni a cinque stelle  ed anche della potenziale pericolosità insita nella destituzione totale del valore delle tradizionali categorie politiche  con la sistematica apologia del Blog assurto a fulcro dell'azione politica e dottrinaria, nel maldestro tentativo di sostituire la democrazia diretta a quella rappresentativa con regole che spesso rasentano l'incostituzionalità.

Basti pensare alle epurazioni/sospensioni/sanzioni previste in caso di mancato rispetto dei principi del Movimento e che, implicitamente impongono agli eletti un vincolo di mandato che contraddice il divieto di mandato imperativo sancito all'art. 67 della Costituzione "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato".

Tale principio, era stato concepito proprio allo scopo, opposto a quello del M5S, di sganciare gli uomini politici dai possibili ricatti di partito, al fine di  garantire la democrazia impegnando l'eletto in via esclusiva al suo impegno politico, piuttosto che al potere del partito. Purtroppo, la storia ci ha anche insegnato di come gli abusi di questo principio abbiano consacrato forme degenerative di trasformismo politico, con le inevitabili frequenti instabilità derivate all'intero sistema politico nazionale.

Pur avendo avuto il merito di averne riproposta la valenza, il M5S non riesce però a portare a soluzione la questione morale che, infatti, non può in alcun modo derivare dalla pericolosa destituzione dei principi costitutivi dello Stato di Diritto che, ipse dixit, conduce alla negazione stessa dei principi democratici che si vogliono difendere.

Quid agendum? Resta da chiedere: come fare? Perticone parlava della partitocrazia come di un problema costituzionale : forse sarebbe ora di intervenire attraverso una revisione dell'intero sistema. A partire dal recupero ad opera della politica di una coerenza con sé stessa, per affrontare con doverosa serietà l'esigenza di produrre le necessarie modifiche, finanche costituzionali che favoriscano la partecipazione democratica e risolvano la distorsione in atto del concetto di rappresentanza politica.


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