sabato 21 gennaio 2017

L'ERA di Donald Trump - America First

Cosa c’è di allarmante nel discorso di insediamento del 45^ Presidente degli Stati Uniti? “Trump, il discorso populista e xenofobo segna la fine di un’epoca. E l’inizio del nazionalismo economico” è il titolo che appare oggi nell’analisi di un giornalista del Fatto Quotidiano.
Le mie orecchie hanno udito qualcosa di diverso e nella pur scolastica traduzione dello slang americano, ho capito che “Oggi è una cerimonia storica. Il potere viene trasferito dalla politica al popolo, a voi americani. Per troppo tempo i politici hanno prosperato ed il cittadino non è mai stato protetto“. Sicuramente una connotazione populistica, ma non vedo il problema ed anzi, se fossi americana, avrei colto con grande rassicurazione questo slancio.
Al di là del fatto oggettivo che è impossibile fare anticipazioni fondate e credibili su quel che sarà l’evoluzione della politica del nuovo Presidente, a meno di non cadere in pronostici campati in aria ed in anticipazioni della valenza di predizioni del futuro fatte con i tarocchi, un’idea la si può esprimere ma un giudizio dissacrante nel giorno stesso dell’insediamento, è evidentemente strumentalizzazione pura.
Ha ragione Grillo quando urla contro le bufale dei giornali: certi pronostici non si possono proprio sentire, ma prima ancora, non si dovrebbero nemmeno fare. Per il bene della collettività e nel rispetto dell’informazione.
Il populismo evidentemente ha evocato in certo giornalismo, il ricordo delle dittature. Ma la domanda è: come si può continuare a legittimare l’automatismo del collegamento che scatta tra populismo e pericolo della dittatura? La risposta è: l’automatismo è disinnescato nei fatti, dai pesi e contrappesi su cui si fondano i sistemi democratici contemporanei e che rendono impossibile il ritorno di fantasmi del passato. Inoltre, il collegamento populismo=pericolo viene meno con il richiamo a ben altri significati di cui la storia ha riempito il concetto stesso: basti pensare al peronismo ed alla sua prassi politica tesa al miglioramento delle condizioni di vita delle classi diseredate.
Quindi, calma con le etichette: piuttosto, non stanchiamoci di ragionare! I giudizi condizionano l’opinione pubblica, nel bene e nel male e, onestamente, considero più populista (nell’accezione negativa del termine) un titolo giornalistico come quello di oggi del Fatto Quotidiano, piuttosto che un Presidente che nell’Inaugution-Day dice che “non c’è niente da celebrare per le famiglie che faticano ad arrivare a fine mese“.
Il Fatto insiste nel giudizio :”Un discorso intriso di pesante nazionalismo, di isolazionismo e protezionismo, con accenti esplicitamente xenofobici, rivolto anzitutto al suo popolo, a chi l’ha seguito durante tutta la campagna elettorale e che l’ha votato” ed azzarda un anacronistico collegamento col vecchio isolazionismo del periodo coloniale che tornerebbe, dunque, ad essere un pilastro della politica estera americana.
Anche in questo giudizio le forzature sono evidentemente devastanti per la buona e corretta informazione. A meno che neppure l’inglese scolastico mi salvi da un’assoluta ignoranza linguistica, quello che ho tradotto del discorso di Trump è tutt’altro: un’agenda economica che punta a riportare in patria gli investimenti ed a favorire il prodotto nazionale, che è qualcosa di completamente diverso dall’evocato isolazionismo coloniale e dal protezionismo proibizionista americano degli anni venti!
Se poi a questi annunci di Trump, si aggiunge la sua promessa di “cancellare il terrorismo islamico dalla faccia della terra“,  pur non essendo americana mi sento rassicurata in quanto cittadina del mondo, piuttosto che allarmata come qualcuno vorrebbe forzando sulla sottesa (ma fin troppo chiara) preoccupazione dell’ingabbiamento della sinistra sotto Trump.
Purtroppo, l’onestà intellettuale latita e “Ci saranno sempre degli Eschimesi pronti a dettar norme su come devono comportarsi gli abitanti del Congo durante la calura” (Stanislaw Jerzy Lec).
di Michela Carlotti

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