mercoledì 14 dicembre 2016

PETIZIONE: insegnamento di educazione civica nelle scuole

https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=562112583988355&id=553848218148125

Apri e firma, è gratis.

https://www.facebook.com/Configurare-Idee-553848218148125/


Vai alla pagina facebook "Configurare Idee":
https://www.facebook.com/Configurare-Idee-553848218148125/

domenica 11 dicembre 2016

LA FREQUENZA (DEL) GRILLO - IL TERMOMETRO DELLA CRISI E L'AUTOGOL PROPORZIONALE.

Il fisico statunitense George W. Pierce, elaborò una legge empirica di calcolo della temperatura ambientale:  “misuriamo con attenzione il numero degli stridii emessi dal grillo (cri-cri) in otto secondi, poi aggiungiamo quattro ed avremo l'esatta temperatura del posto in cui ci troviamo”. Dopodiché, il grillo è diventato leggenda come il termometro dei poveri.

Parto da questa curiosa premessa, perché si presta come metafora della situazione politica attuale: quando si dice, nel nome un destino. 

I sondaggi di oggi danno il partito di Grillo al 31,5%, contro il 29,8% del PD mentre Lega ed FI sotto il 12%. Gli stridii aumentano, ciò significa che la temperatura è alta. Si parla di temperatura politica, non ambientale, che chiama in causa lo scontento diffuso attestato dagli indici di povertà che la scorsa settimana l'Istat riassumeva in questo infausto dato: 1 italiano su 4 è a rischio povertà o esclusione sociale.

Inutile non attestare la portata del Movimento 5 Stelle: i grillini hanno decisamente convogliato il malcontento diffuso a livello nazionale per una situazione di crisi che dal 2008 non da tregua all'economia mondiale.

Un italiano su quattro significa che anche la caratterizzazione socio-economica del nostro Paese è assolutamente scompaginata: il ceto medio non esiste più, livellato alle categorie sociali che arrivano a fine mese con difficoltà. 

Come è naturale che sia, divampa il malcontento e lo scollamento tra la società civile ed i partiti della crisi, cioè partiti che di volta in volta governano senza riuscire a traghettare il Paese fuori dalla crisi. Va dato atto che, trattandosi di una crisi di dimensioni globali, si tratta di un compito arduo.

Tuttavia, non sta alla società civile elaborare giustificativi e palliativi per le inefficienze della nostra classe politica: soprattutto in una situazione in cui alla crisi economica che gambizza la società civile, corrisponde un imperituro benessere della classe politica.

Così, nei corsi e ricorsi della storia, il bisogno di cambiamento  attechisce e cresce convogliando il malcontento e le aspettative diffuse: ora è la volta del Movimento Cinque Stelle.

Come nel 1992 la Lega Nord si affermava in piena crisi della prima Repubblica, assestando un significativo colpo all’impressionante staticità del sistema partitico di allora: con poche varianti, la scena politica era ancora dominata dagli otto partiti storici che avevano radici nell’ante guerra. Solo due anni dopo, nel 1994 Forza Italia scardinava l'assetto politico pre-esistente affermandosi come primo partito con il 21% dei voti. Un'assoluta novità che attechiva sul collasso del sistema partitico e delle precedenti forze di governo.

Forza Italia, si era proposta come il partito paladino delle libertà e con questa mission che è piaciuta agli elettori, è andata molto vicino dal realizzare un  sistema di bipolarismo perfetto, polverizzando il centro ed altri partiti minori e razionalizzando lo scontro politico nella contrapposizione tra i due principali partiti.

Già al referendum del 1993, l'anno precedente l'affermazione di Forza Italia, gli italiani avevano dato prova, con una delle più elevate partecipazioni referendarie della storia (80%), del loro orientamento verso la democrazia maggioritaria, abrogando alcune norme della legge elettorale vigente in Senato che veniva così trasformata in un senso prevalentemente maggioritario-uninominale.

Tangentopoli, la crisi della Prima Repubblica, il collasso di quel sistema di partiti, aveva generato insofferenza verso una legge proporzionale che assicurava a tutte le forze politiche garanzie di sopravvivenza, ma produceva anche gli effetti degenerativi di una partitocrazia compromissoria ove, in un Parlamento in cui nessun partito ha la maggioranza assoluta dei seggi, la governabilità si lega necessariamente alla ricerca dell'accordo e della mediazione.

E' l'effetto perverso della democrazia, o almeno della democrazia italiana: più variegata è la rappresentanza parlamentare, più debole diventa il governo.

Oggi, fatto il governo, scopriamo l'inganno. Riconfermo il mio giudizio positivo sulla scelta del Presidente Mattarella che, a rigor di logica politica e sotto il profilo della scienza politica, nell'attuale contesto italiano è la migliore delle decisioni possibili. Infatti, il governo di scopo a guida politica, come dicevo nel mio articolo di ieri (Una prova di lucidità politica: la scelta di Mattarella), conferma al partito di maggioranza la responsabilità di condurre a scadenza gli adempimenti e gli impegni amministrativi che incombono sull'ordinaria amministrazione di governo e, nel contempo, impegna tutti gli altri partiti ad un'assunzione di responsabilità  nell’accordarsi sulla redigenda legge elettorale.

L'inganno per gli italiani è l'autogol del referendum che rischia realmente di riportare l'Italia indietro di trent'anni, riproducendo quel tripartitismo che dalla nascita della Repubblica, nel 1946, ha caratterizzato il sistema partitico italiano, con la variante che sostituisce agli originari tre poli destra-sinistra-centro, il più insidioso tripolarismo destra-sinistra-contro.

I grillini, infatti, suonano bene la musica del malcontento, ma oltre a ciò ci sono delle responsabilità che, come papabile primo partito, non possono più posterizzare.

Bocciato, con il NO alla riforma costituzionale, il superamento del bicameralismo paritario, bloccata ogni velleità bipolaristica e ricondotto il sistema partitico ad una struttura tripartitica, ora urge entrare nella sostanza dello scontro politico: bisogna esprimersi sulla legge elettorale. Il M5S Ha una grossa responsabilità: come primo partito, potrebbe spingere molto sul sistema elettorale misto con premio di maggioranza, ma in tal caso dovrà prepararsi ad una programmazione politica sostenibile, nella consapevolezza che le alleanze gli saranno d’ora in poi necessarie. A meno che, non spinga verso un improbabile sistema maggioritario, ma in tal caso si prepari ad impersonare anche la politica di destra, per raccogliere voti contro la sinistra, quale unico rivale.

Siccome non credo che il Movimento Cinque Stelle possa rappresentare esaustivamente la destra, conviene che Grillo entri nell’ottica della necessità del confronto e del dialogo con quei partiti con cui nell'immediato è chiamato a riscrivere la legge elettorale, così come deciso dal Presidente della Repubblica.



sabato 10 dicembre 2016

UNA PROVA DI LUCIDITA' POLITICA - LA SCELTA DI MATTARELLA

Mentre prende sempre più campo l'ipotesi del governo di scopo come soluzione per il superamento della crisi di governo, vedo confermata la mia analisi che già ieri facevo sull'evoluzione in fieri del quadro politico italiano.

Per questo motivo, invito a dare lettura del mio articolo pubblicato ieri "Il capriccio dell'Italia-no: Corte Costituzionale e Volontà popolare", di cui riprenderò alcuni passaggi chiave, sia per rafforzare la validità dell'ipotesi che presentavo ieri, ma anche per far luce sul giudizio che ne consegue relativamente all'indubbia levatura di cui sta dando prova il nostro Capo di Stato.

Quello che sta succedendo dall'avvio delle consultazioni, infatti, con l'eccessivo risalto mediatico dato alle proposte di soluzione della crisi che i vari partiti stanno presentando al Capo dello Stato, rischia di lasciare sotto traccia il contributo elevatissimo del nostro Presidente della Repubblica. Un contributo che è tutt'altro che standard e scontato ed anzi, con un'inusuale anticipazione ha condotto Mattarella a dichiarare che già in serata, a consultazioni concluse, sarà in grado di fare il punto della situazione: non ci darà il nome del nuovo capo del governo, ma ci ha già fatto capire tanto della sua ipotesi risolutoria.

Dicevo ieri, in una situazione di crisi di governo, la nostra Costituzione chiama in causa il Capo dello Stato e ne espande il ruolo oltre a quello di garante-imparziale dei valori costituzionali, ponendogli in capo la responsabilità di decisioni politiche determinanti per il nuovo assetto di governo.  Così Mattarella è chiamato a fare, disponendo di due poteri: il potere di nomina del Presidente del consiglio (art. 92) ed il potere di sciogliere anticipatamente il Parlamento senza aspettare la fine naturale della legislatura (art. 88).

Ad un primo impatto, la seconda opzione che conduce ad indire nuove consultazioni elettorali, poteva apparire una soluzione scontata: infatti, se il referendum si è tradotto in uno scontro politico sulla legittimazione o de-legittimazione del premier Renzi, questa via si sarebbe posta perfettamente in linea con i tanti proclami anti-renziani che hanno contribuito alla vittoria del NO.

In realtà, l'attuale sistema elettorale italiano complica la questione, poiché è un "grossolano capriccio tecnico" pronto a tradire l'espressione di voto degli italiani (e qui nel mio articolo di ieri aprivo la questione sulla volontà popolare). Con l'Italicum che vale alla Camera dei Deputati ed il Consultellum in vigore al Senato, ci si trova nella evidente impraticabilità di creare una chiara maggioranza, con le inevitabili conseguenze dell'ingovernabilità: come se questa fosse l'abito irrinunciabile (la falla storica) del nostro sistema politico.

Pertanto, i toni alti dei sostenitori del "voto subito" (Movimento Cinque Stelle e Lega) non si possono più sentire: prima urlano che l'Italicum è una legge sbagliata, poi invocano quello che tecnicamente si chiama il governo elettorale a cui si chiede unicamente di portare il Paese al voto con la legge elettorale che c'è, pur con la consapevolezza dell'inevitabile prospettiva di ingovernabilità. E' chiaro, allora, che dal loro punto di vista la sovranità popolare diventa merce di scambio per lo scopo esclusivo della vittoria elettorale. 

Poi ci sono i partiti del governo di scopo che più consapevolmente chiedono al Capo dello Stato di istituire un governo allo scopo di realizzare la nuova legge elettorale per poi rassegnare le dimissioni. Queste volute nel più breve tempo possibile da Fratelli d'Italia, mentre Forza Italia e la componente Bersaniana del PD, non hanno fretta e pensano ad un governo di scopo a lungo termine, che traghetti il Paese fino alla scadenza naturale della legislatura. Si comprende, in questo, che Forza Italia ed il PD hanno bisogno di tempo per ricompattarsi ed arrivare pronti alle elezioni. 

In ogni caso, entro questa più logica cornice del governo di scopo, il Capo dello Stato avrebbe facoltà di scegliere tra un governo politico, presidenziale, tecnico o istituzionale: a tal riguardo non possiamo che confermare quanto detto ieri, ovvero che non sarebbe ragionevole chiedere lo sforzo a Renzi, proprio a fronte di un risultato referendario caratterizzatosi alla stregua di una questione personale. Ed oggi, parrebbe che Mattarella abbia escluso questa via, dopo aver chiesto lo sforzo a Renzi limitatamente all'approvazione del bilancio.

In questo contesto, i proclami di oggi di Alfano e di Verdini che urlano "al governo di tutti o il Renzi-bis" sembrano note scordate. Già spiegate sopra le ragioni dell'insostenibilità del Renzi-bis, il governo di tutti è al pari insostenibile laddove il governo non è caduto sul venire meno della maggioranza, che dovrebbe anzi proseguire con le proprie responsabilità. 

Come altrettanto insostenibili sono i proclami di autentica follia di SEL e di altri partiti minori, che invocano la rottura con Renzi e spingono per il governo delle larghe intese, nella speranza di poter continuare a contare qualcosa.  

Renzi a parte, il governo di scopo nasconde però l'insidia dei tempi lungi dell'accordo tra i partiti sulla legge elettorale: e qui il timing con la scelta del nostro Capo di Stato, chiama in causa la responsabilità dei nostri rappresentanti politici.

Come ho già detto ieri, a nulla può valere l’alibi della Corte Costituzionale, che non è preposta a sciogliere il bandolo della matassa della questione elettorale: al di là dei profili di incostituzionalità rilevati e rilevabili, non è ammesso un giudizio preventivo su una causa non ancora sviluppata, ovvero su una legge non ancora applicata. La legge elettorale, comunque, deve essere riscritta dal Parlamento.

Così, a poche ore dalla chiusura delle consultazioni, torno a sostenere che il timing appare ben scandito da Mattarella, orientato verso un governo di scopo a guida politica, guidato da un leader politico, Gentiloni o no, della maggioranza. Un tipo di governo, dunque, che inchioderebbe il PD alle proprie responsabilità ed impegnerebbe tutti i partiti nel raggiungimento di un serio accordo elettorale per condurre al voto gli italiani nel breve termine.




venerdì 9 dicembre 2016

IL CAPRICCIO DELL'ITALIA-NO: CORTE COSTITUZIONALE E VOLONTA' POPOLARE

Il diritto di voto, è la massima espressione del principio di democrazia. Frutto di conquiste storiche fondanti i sistemi istituzionali democratici contemporanei, oggi sembra essere diventato un concetto blasonato al punto di diventare superfluo.

Come vuole la nostra Costituzione, la crisi di governo chiama in causa il Capo dello Stato e ne espande il ruolo oltre a quello di garante-imparziale dei valori costituzionali, ponendogli in capo la responsabilità di decisioni politiche determinanti per il nuovo assetto di governo.  Così Mattarella è chiamato a fare, disponendo di due poteri: il potere di nomina del Presidente del consiglio (art. 92) ed il potere di sciogliere anticipatamente il Parlamento senza aspettare la fine naturale della legislatura (art. 88).

Ad un primo impatto, la seconda opzione che conduce ad indire nuove consultazioni elettorali, appare una soluzione legittima: se il referendum si è tradotto in uno scontro politico sulla legittimazione o de-legittimazione del premier Renzi, questa via si porrebbe in linea, infatti, con i tanti proclami anti-renziani che hanno contribuito alla vittoria del NO.

Ma, a ben riflettere, il fallimento del referendum ha complicato la questione: bloccate le modifiche dell'assetto costituzionale, la posta in gioco che si pone alla ribalta è la questione della legittimazione della volontà popolare.

Questione che nella sostanza è al vaglio della Corte Costituzionale chiamata a pronunciarsi, presumibilmente a gennaio, sulla legge elettorale entrata in vigore a luglio ma la cui effettiva applicazione era in qualche modo legata all’approvazione della riforma elettorale.

Pur senza questa aggravante della sovra-rappresentanza attribuita con l’Italicum ai partiti che ottengono il 40% dei consensi, la questione della sovranità popolare si configura fin da subito in presenza di un Senato rimasto tale e quale e che continua ad essere eletto con la legge elettorale del Consultellum, riproducendo la frammentazione del voto in un pluripartitismo non troppo distante dal contestato modello della prima Repubblica. D'altra parte l'Italicum, con le sue forzature sul sistema maggioritario per garantire in ogni circostanza una netta maggioranza in Parlamento per chi ha un voto in più degli altri, resta la legge in vigore per l'elezione esclusiva della Camera dei Deputati. 

Si tratta di una questione difficile da risolvere, appunto perché l'attuale sistema elettorale italiano è un grossolano capriccio tecnico pronto a tradire l'espressione di voto degli italiani, nell'impraticabilità di creare una chiara maggioranza con le inevitabili conseguenze dell'ingovernabilità: come se questa fosse l'abito irrinunciabile del nostro sistema politico.

Pertanto, i toni alti dei sostenitori del "voto subito" non si possono più sentire: prima urlano che l'Italicum è una legge fascista, poi invocano il governo elettorale a cui si chiede unicamente di portare il Paese al voto con la legge elettorale che c'è, pur con la consapevolezza dell'inevitabile prospettiva di ingovernabilità. E' chiaro, allora, che dal loro punto di vista la sovranità popolare diventa merce di scambio per lo scopo esclusivo della vittoria elettorale.

Poi ci sono i partiti del governo di scopo: ovvero, i partiti che più consapevolmente chiedono al Capo dello Stato di istituire un governo allo scopo di realizzare la nuova legge elettorale per poi rassegnare le dimissioni. Entro questa più logica cornice, il Capo dello Stato avrebbe facoltà di scegliere tra un governo politico, tecnico o istituzionale: certamente difficile sostenere la sua eventuale scelta di chiedere lo sforzo a Renzi, proprio a fronte di un risultato referendario caratterizzatosi alla stregua di una questione personale.

Renzi a parte, il governo di scopo nasconde però l'insidia dei tempi lungi dell'accordo tra i partiti sulla legge elettorale: e qui il timing chiama in causa l'esclusiva ed urgente responsabilità dei nostri rappresentanti politici.

A nulla può valere l’alibi della Corte Costituzionale, che non è preposta a sciogliere il bandolo della matassa della questione elettorale: al di là dei profili di incostituzionalità rilevati e rilevabili, non è ammesso un giudizio preventivo  su una causa non ancora sviluppata, ovvero su una legge non ancora applicata. La palla torni, dunque, al Parlamento.



mercoledì 7 dicembre 2016

LA BUFALA DI PIAZZA AFFARI - LA LUNGA CODA DEGLI EFFETTI DEL NO

La bufala di piazza affari - la lunga coda degli effetti del NO.

Contro ogni profezia, nonostante la vittoria del NO alla riforma costituzionale, le Borse europee viaggiano in rialzo. Va detto, però, che la vittoria del NO, era pressoché scontata ed i mercati si erano preparati, mettendo in campo tutti quei tecnicismi per cui, volendo tentare una grossolana traduzione dal burocratese, al sell-off di bond ed azioni ogni trend immediatamente successivo acquista un segno positivo.

Ergo, gli effetti del NO potrebbero non essere ancora visibili e potrebbero invece concretizzarsi nell’incertezza esecutiva del dopo-Renzi.

Avvisaglie in questo senso ce ne sono: prima fra tutte, l’intervista al quotidiano Handesblatt rilasciata dal fedelissimo della Cancelliera Merkel, il consigliere economico del governo tedesco, Volker Wieland. A soli due giorni dall’esito del referendum, infatti, egli ha dichiarato che l’Italia “dovrebbe chiedere un programma di aiuti all’Esm” e che “anche l’Fmi dovrebbe essere coinvolto nel programma di aiuti”.
Del resto, le banche italiane sono fra le maggiori detentrici di debito pubblico e non possiamo raccontarcela: questo è un dato che preoccupa l’Europa che, appunto, non ha tardato a farsi sentire anche se, per ora, solo con un "accorato" consiglio di Wieland.

A dimostrazione che la vittoria del NO alla riforma costituzionale, non avrebbe fondato la  LIBERLAND italiana, siamo invitati a chiedere un programma di aiuti al fondo salva-stati: soluzione discutibile e preoccupante, laddove il contraltare agli aiuti offerti è il giro di vite delle misure di austerità e dei vincoli imposti. Il caso del salvataggio greco ha dimostrato che il Fondo Monetario Internazionale non è economicamente e socialmente sostenibile. L'umiliazione sociale da esso derivata non è ancorché vagamente ricompensata da soluzioni strutturate di lungo periodo atte a risolvere la questione del debito. 

La vittoria del NO, piuttosto, agisce come acceleratore di una crisi in cui le strade appaiono ormai sempre più obbligate e sempre meno generose di scappatoie: o l’Italia si prostra alla gogna degli aiuti europei, o si deve apprestare ad avviare un’Italexit su valide fondamenta strutturate sulle riforme che, però, entro il contesto della crisi del debito appaiono irrealizzabili: la politica italiana ne è consapevole ed i maggiori partiti sono cauti sull'uscita dall'Europa a cui preferiscono correttivi, ahimè, piuttosto confusi ed indefiniti.

D'altronde, la rassicurante vittoria austriaca dell'europeista Alexander Van Der Beller, offre l'assist agli europeisti e fa traballare ogni ulteriore, possibile velleità euro-scettica.

E quindi? Siamo in mezzo al guado e non sarebbe molto intelligente fermarsi in mezzo o ritirarsi. Proposte percorribili arrivano dai Gotha dell'economia che già due anni fa avevano lanciato la petizione per la nuova Bretton Woods, significativamente ribattezzata in nome degli accordi originari del 1944, che restano il primo esempio storico di accordi tra Stati  per stabilire le regole delle relazioni commerciali e finanziarie tra i principali paesi industrializzati del mondo. 

L'idea è quella di una conciliazione tra sostenibilità del debito e crescita interna, con l'impegno della Banca Centrale Europea ad allentare il giogo degli interessi per liberare risorse da investire in riforme strutturali.

La vittoria del NO, è stata totalmente inutile al fine anti-europeista di alcuni suoi sostenitori: valga almeno per rinsaldare l'idea che non c'è nessuna ragione scientifica nel rigorismo. 
La prossima mossa, dunque, dovrebbe essere un sollecito unanime e condiviso a Bruxelles  per ricondurre la politica al servizio del bene comune e non alle regole economiche che, al contrario, devono essere funzionali a questo fine. Ogni altra alternativa sarà solo un subdolo palliativo per l'agonizzante Europa.