venerdì 9 dicembre 2016

IL CAPRICCIO DELL'ITALIA-NO: CORTE COSTITUZIONALE E VOLONTA' POPOLARE

Il diritto di voto, è la massima espressione del principio di democrazia. Frutto di conquiste storiche fondanti i sistemi istituzionali democratici contemporanei, oggi sembra essere diventato un concetto blasonato al punto di diventare superfluo.

Come vuole la nostra Costituzione, la crisi di governo chiama in causa il Capo dello Stato e ne espande il ruolo oltre a quello di garante-imparziale dei valori costituzionali, ponendogli in capo la responsabilità di decisioni politiche determinanti per il nuovo assetto di governo.  Così Mattarella è chiamato a fare, disponendo di due poteri: il potere di nomina del Presidente del consiglio (art. 92) ed il potere di sciogliere anticipatamente il Parlamento senza aspettare la fine naturale della legislatura (art. 88).

Ad un primo impatto, la seconda opzione che conduce ad indire nuove consultazioni elettorali, appare una soluzione legittima: se il referendum si è tradotto in uno scontro politico sulla legittimazione o de-legittimazione del premier Renzi, questa via si porrebbe in linea, infatti, con i tanti proclami anti-renziani che hanno contribuito alla vittoria del NO.

Ma, a ben riflettere, il fallimento del referendum ha complicato la questione: bloccate le modifiche dell'assetto costituzionale, la posta in gioco che si pone alla ribalta è la questione della legittimazione della volontà popolare.

Questione che nella sostanza è al vaglio della Corte Costituzionale chiamata a pronunciarsi, presumibilmente a gennaio, sulla legge elettorale entrata in vigore a luglio ma la cui effettiva applicazione era in qualche modo legata all’approvazione della riforma elettorale.

Pur senza questa aggravante della sovra-rappresentanza attribuita con l’Italicum ai partiti che ottengono il 40% dei consensi, la questione della sovranità popolare si configura fin da subito in presenza di un Senato rimasto tale e quale e che continua ad essere eletto con la legge elettorale del Consultellum, riproducendo la frammentazione del voto in un pluripartitismo non troppo distante dal contestato modello della prima Repubblica. D'altra parte l'Italicum, con le sue forzature sul sistema maggioritario per garantire in ogni circostanza una netta maggioranza in Parlamento per chi ha un voto in più degli altri, resta la legge in vigore per l'elezione esclusiva della Camera dei Deputati. 

Si tratta di una questione difficile da risolvere, appunto perché l'attuale sistema elettorale italiano è un grossolano capriccio tecnico pronto a tradire l'espressione di voto degli italiani, nell'impraticabilità di creare una chiara maggioranza con le inevitabili conseguenze dell'ingovernabilità: come se questa fosse l'abito irrinunciabile del nostro sistema politico.

Pertanto, i toni alti dei sostenitori del "voto subito" non si possono più sentire: prima urlano che l'Italicum è una legge fascista, poi invocano il governo elettorale a cui si chiede unicamente di portare il Paese al voto con la legge elettorale che c'è, pur con la consapevolezza dell'inevitabile prospettiva di ingovernabilità. E' chiaro, allora, che dal loro punto di vista la sovranità popolare diventa merce di scambio per lo scopo esclusivo della vittoria elettorale.

Poi ci sono i partiti del governo di scopo: ovvero, i partiti che più consapevolmente chiedono al Capo dello Stato di istituire un governo allo scopo di realizzare la nuova legge elettorale per poi rassegnare le dimissioni. Entro questa più logica cornice, il Capo dello Stato avrebbe facoltà di scegliere tra un governo politico, tecnico o istituzionale: certamente difficile sostenere la sua eventuale scelta di chiedere lo sforzo a Renzi, proprio a fronte di un risultato referendario caratterizzatosi alla stregua di una questione personale.

Renzi a parte, il governo di scopo nasconde però l'insidia dei tempi lungi dell'accordo tra i partiti sulla legge elettorale: e qui il timing chiama in causa l'esclusiva ed urgente responsabilità dei nostri rappresentanti politici.

A nulla può valere l’alibi della Corte Costituzionale, che non è preposta a sciogliere il bandolo della matassa della questione elettorale: al di là dei profili di incostituzionalità rilevati e rilevabili, non è ammesso un giudizio preventivo  su una causa non ancora sviluppata, ovvero su una legge non ancora applicata. La palla torni, dunque, al Parlamento.



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