mercoledì 7 dicembre 2016

LA BUFALA DI PIAZZA AFFARI - LA LUNGA CODA DEGLI EFFETTI DEL NO

La bufala di piazza affari - la lunga coda degli effetti del NO.

Contro ogni profezia, nonostante la vittoria del NO alla riforma costituzionale, le Borse europee viaggiano in rialzo. Va detto, però, che la vittoria del NO, era pressoché scontata ed i mercati si erano preparati, mettendo in campo tutti quei tecnicismi per cui, volendo tentare una grossolana traduzione dal burocratese, al sell-off di bond ed azioni ogni trend immediatamente successivo acquista un segno positivo.

Ergo, gli effetti del NO potrebbero non essere ancora visibili e potrebbero invece concretizzarsi nell’incertezza esecutiva del dopo-Renzi.

Avvisaglie in questo senso ce ne sono: prima fra tutte, l’intervista al quotidiano Handesblatt rilasciata dal fedelissimo della Cancelliera Merkel, il consigliere economico del governo tedesco, Volker Wieland. A soli due giorni dall’esito del referendum, infatti, egli ha dichiarato che l’Italia “dovrebbe chiedere un programma di aiuti all’Esm” e che “anche l’Fmi dovrebbe essere coinvolto nel programma di aiuti”.
Del resto, le banche italiane sono fra le maggiori detentrici di debito pubblico e non possiamo raccontarcela: questo è un dato che preoccupa l’Europa che, appunto, non ha tardato a farsi sentire anche se, per ora, solo con un "accorato" consiglio di Wieland.

A dimostrazione che la vittoria del NO alla riforma costituzionale, non avrebbe fondato la  LIBERLAND italiana, siamo invitati a chiedere un programma di aiuti al fondo salva-stati: soluzione discutibile e preoccupante, laddove il contraltare agli aiuti offerti è il giro di vite delle misure di austerità e dei vincoli imposti. Il caso del salvataggio greco ha dimostrato che il Fondo Monetario Internazionale non è economicamente e socialmente sostenibile. L'umiliazione sociale da esso derivata non è ancorché vagamente ricompensata da soluzioni strutturate di lungo periodo atte a risolvere la questione del debito. 

La vittoria del NO, piuttosto, agisce come acceleratore di una crisi in cui le strade appaiono ormai sempre più obbligate e sempre meno generose di scappatoie: o l’Italia si prostra alla gogna degli aiuti europei, o si deve apprestare ad avviare un’Italexit su valide fondamenta strutturate sulle riforme che, però, entro il contesto della crisi del debito appaiono irrealizzabili: la politica italiana ne è consapevole ed i maggiori partiti sono cauti sull'uscita dall'Europa a cui preferiscono correttivi, ahimè, piuttosto confusi ed indefiniti.

D'altronde, la rassicurante vittoria austriaca dell'europeista Alexander Van Der Beller, offre l'assist agli europeisti e fa traballare ogni ulteriore, possibile velleità euro-scettica.

E quindi? Siamo in mezzo al guado e non sarebbe molto intelligente fermarsi in mezzo o ritirarsi. Proposte percorribili arrivano dai Gotha dell'economia che già due anni fa avevano lanciato la petizione per la nuova Bretton Woods, significativamente ribattezzata in nome degli accordi originari del 1944, che restano il primo esempio storico di accordi tra Stati  per stabilire le regole delle relazioni commerciali e finanziarie tra i principali paesi industrializzati del mondo. 

L'idea è quella di una conciliazione tra sostenibilità del debito e crescita interna, con l'impegno della Banca Centrale Europea ad allentare il giogo degli interessi per liberare risorse da investire in riforme strutturali.

La vittoria del NO, è stata totalmente inutile al fine anti-europeista di alcuni suoi sostenitori: valga almeno per rinsaldare l'idea che non c'è nessuna ragione scientifica nel rigorismo. 
La prossima mossa, dunque, dovrebbe essere un sollecito unanime e condiviso a Bruxelles  per ricondurre la politica al servizio del bene comune e non alle regole economiche che, al contrario, devono essere funzionali a questo fine. Ogni altra alternativa sarà solo un subdolo palliativo per l'agonizzante Europa.



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