La
contraddizione di Zagrebelsky - cita Rousseau per abiurare la Riforma costituzionale.
Cosa
vogliamo? Resta questa la domanda a due giorni dal referendum. Ancora poche
chiacchiere mediatiche e poi noi cittadini siamo chiamati al voto.
La riforma l’ha voluta il Parlamento e sono 30 anni che
tutta la classe politica dice che bisogna passare dal bicameralismo paritario ad un sistema più semplificato. La
polverizzazione della prima Repubblica aveva offerto una chance che, però, i
nostri politici non hanno saputo cogliere: o meglio, tentativi sono stati
fatti, ma la riforma che va bene a tutti non è mai stata partorita.
In
settanta anni abbiamo avuto 63 governi: un’instabilità che ha condizionato la politica del
nostro paese, o è stata la politica del nostro paese che ha condizionato
l’instabilità dei nostri governi?
Ed è questa la sostanza della domanda che ho posto in
premessa: una sostanza complessa che rende il senso stesso della nostra storia
politico-istituzionale.
Le difficoltà, secondo il costituzionalista, non derivano
dal bicameralismo perfetto, ma dal fatto che le forze politiche non sono
d’accordo. “La radice di queste difficoltà è politica non istituzionale”,
sostiene il costituzionalista.
Tant’è, diciamo noi: e quindi?
Il garantismo costituzionale che sostiene l’architettura
della Carta costituzionale più bella del mondo, è finanche eccessivo per una
ragione storica che noi tutti ormai conosciamo: lo spettro del fascismo aveva
indotto i nostri padri costituenti a calcare sulle misure garantistiche con
pesi e contrappesi pensati allo scopo di impedire un rafforzamento eccessivo
del potere esecutivo.
Il pluralismo, la moltiplicazione dei centri di potere, la
frammentazione delle funzioni, serviva a questo, a garantire il sacrosanto
principio fondante di ogni democrazia: la partecipazione.
Ma il costituzionalista Zagrebelsky, e così anche ognuno di
noi cittadini consapevoli e scolarizzati, dovremmo aver imparato che la
democrazia è un ideale-limite: un modello a cui tendere pur senza possibilità
di realizzarlo appieno.
E quando si parla di democrazia, il richiamo a Rousseau è
d’obbligo: Zagrebelsky non omette di farlo, e lo ha fatto proprio in occasione
del faccia a faccia con Renzi nella trasmissione condotta da Mentana andata in
onda circa un mese fa su La 7: “Il popolo
inglese ritiene di esser libero: si sbaglia di molto; lo è soltanto durante
l’elezione dei membri del parlamento. appena questi sono eletti, esso è schiavo
, non è nulla”.
D’altronde, il massimo teorico della democrazia parlava
della partecipazione diretta all’attività legislativa e, per questo, il
concetto stesso di rappresentanza politica veniva trattato con sospetto: “L’unico modo per formare correttamente la
volontà generale è quello della partecipazione all’attività legislativa di
tutti i cittadini, come accadeva nella polis greca: l’idea che un popolo si dia
rappresentanti che poi legiferano in suo nome è la negazione stessa della
libertà” (J.J. Rousseau, Il Contratto sociale III, 15).
Ma, come dicevo sopra, la democrazia è un modello cui
tendere, non un conseguimento.
Quindi i rappresentanti li abbiamo ed i partiti politici ne
sono l’espressione concreta. E qui si apre una riflessione da cui viene
chiaramente in luce la contraddizione di Zagrebelsky. Se, come dice lui
la radice delle difficoltà di tenuta dei governi italiani è proprio
una difficoltà di natura politica non istituzionale, perché puntare a
preservare la frammentazione politico-governativa?
La paura del rafforzamento dei poteri di governo è
strumentale: la storia insegna che le derive autoritarie, semmai, si sono
verificate laddove i governi erano deboli.
Allora il sospetto nasce spontaneo: non è che si vuole
mantenere ad ogni costo l’ingovernabilità del paese per qualche oscuro fine?
Nel calcolo probabilistico dei fini possibili, risulta con
logica matematica che il fine più probabile è quello di alimentare i fenomeni
di corruzione: non adagiamoci sulle origini antropologiche della corruzione.
Gli italiani non nascono corrotti e nelle pieghe della frammentazione dei
centri di potere e di funzioni, di competenze e di attribuzioni, il germe
italiano si replica.
Urge l’antidoto e sta a noi usarlo.
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