giovedì 26 gennaio 2017

IL VERDETTO DELLA CONSULTA: VOTARE SI PUO'!

Il comunicato della Corte Costituzionale sulla decisione assunta ieri in merito all'Italicum, nella parte finale recita: "All’esito della sentenza, la legge elettorale è suscettibile di immediata applicazione".

La sentenza non è un capolavoro ma, va detto, non era nemmeno preposta ad esserlo. Così, ha mantenuto l'impianto complessivo dell'Italicum con una correzione proporzionale che è già stata definita da alcuni un sistema  “proporzionario” ovvero proporzionale se nessuno prende il 40% e maggioritario se uno lo prende. 

D'altronde, il sistema bipolaristico della politica italiana è venuto meno ed ha ceduto il passo ad un panorama principalmente quadripolare in cui, va da sé, un quantum di proporzionalismo si rende assolutamente necessario.

Quindi, al di là di ogni sindacabile giudizio sulla sentenza, la legge elettorale ce l'abbiamo.
In un'intervista rilasciata all'Ansa dal Presidente emerito della Consulta, Valerio Onida ha dichiarato "Se i giudici avessero operato un’amputazione drastica, non sarebbe possibile andare alle urne prima dell’intervento di una nuova legge. Questa possibilità, invece, è assicurata".

In teoria, dunque, si potrebbe andare al voto subito: ma, in pratica non è detto.
Verificata la conformità alla Costituzione delle specifiche norme censurate e la possibilità immediata di procedere ad elezioni con la restante normativa, la Consulta ha esaurito il suo ruolo, ma ciò non impedisce al Parlamento di confezionare anche una nuova legge elettorale, espressione della più ampia discrezionalità legislativa.

Le reazioni delle varie forze politiche alla sentenza, costituiscono di per sé un chiaro spartiacque che divide i partitini animati dall'irragionevolezza dell'interesse esclusivo per la propria sopravvivenza, da quelli principalmente rappresentativi dell'elettorato.

Tra chi invoca le urne subito, ci sono il M5S, Lega, Fratelli d'Italia e PD; tra chi sostiene che la sentenza della Consulta non escluda un passaggio parlamentare per trovare un'intesa sull'armonizzazione delle leggi elettorali delle due Camere, si allenano Nuovo Centro Destra, Forza Italia, Sinistra italiana e le ali bersaniana e cuperloniana del PD.

Ed è proprio questo il punto: la non-applicazione della legge elettorale uscita dalla Consulta (e quindi il rinvio del voto) in virtù di una fantomatica necessità preventiva di omogeneizzare le leggi elettorali vigenti per le due Camere, rasenta una manifesta irragionevolezza!

Si, perché in questo caso la legge elettorale "di risulta", è complessivamente idonea a garantire il rinnovo dell'organo costituzionale elettivo. La volontà di rinvio, dunque, altro non è che il malcelato tentativo delle forze politiche minoritarie di escogitare virtuosistiche produzioni legislative atte al loro salvataggio elettorale o, nella peggiore delle ipotesi, a far scattare il termine per il vitalizio dei propri parlamentari.

Questa letio brevis ricavata dall'evidenza dei fatti, valga come monito alle futuribili elezioni per gli indecisi cronici e per gli affezionati nostalgici di un passato politico che è ormai alla resa dei conti. Nondimeno, resta il pronunciamento della Corte Costituzionale che con sentenza 1/2014 ha dichiarato che anche la discrezionalità legislativa del Parlamento non è esente da censura in caso di manifesta irragionevolezza.

di Michela Carlotti

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Configurare Idee: IL VERDETTO DELLA CONSULTA: VOTARE SI PUO'!: Il comunicato della Corte Costituzionale sulla decisione assunta ieri in merito all'Italicum, nella parte finale recita: " All’esi...

sabato 21 gennaio 2017

L'ERA di Donald Trump - America First

Cosa c’è di allarmante nel discorso di insediamento del 45^ Presidente degli Stati Uniti? “Trump, il discorso populista e xenofobo segna la fine di un’epoca. E l’inizio del nazionalismo economico” è il titolo che appare oggi nell’analisi di un giornalista del Fatto Quotidiano.
Le mie orecchie hanno udito qualcosa di diverso e nella pur scolastica traduzione dello slang americano, ho capito che “Oggi è una cerimonia storica. Il potere viene trasferito dalla politica al popolo, a voi americani. Per troppo tempo i politici hanno prosperato ed il cittadino non è mai stato protetto“. Sicuramente una connotazione populistica, ma non vedo il problema ed anzi, se fossi americana, avrei colto con grande rassicurazione questo slancio.
Al di là del fatto oggettivo che è impossibile fare anticipazioni fondate e credibili su quel che sarà l’evoluzione della politica del nuovo Presidente, a meno di non cadere in pronostici campati in aria ed in anticipazioni della valenza di predizioni del futuro fatte con i tarocchi, un’idea la si può esprimere ma un giudizio dissacrante nel giorno stesso dell’insediamento, è evidentemente strumentalizzazione pura.
Ha ragione Grillo quando urla contro le bufale dei giornali: certi pronostici non si possono proprio sentire, ma prima ancora, non si dovrebbero nemmeno fare. Per il bene della collettività e nel rispetto dell’informazione.
Il populismo evidentemente ha evocato in certo giornalismo, il ricordo delle dittature. Ma la domanda è: come si può continuare a legittimare l’automatismo del collegamento che scatta tra populismo e pericolo della dittatura? La risposta è: l’automatismo è disinnescato nei fatti, dai pesi e contrappesi su cui si fondano i sistemi democratici contemporanei e che rendono impossibile il ritorno di fantasmi del passato. Inoltre, il collegamento populismo=pericolo viene meno con il richiamo a ben altri significati di cui la storia ha riempito il concetto stesso: basti pensare al peronismo ed alla sua prassi politica tesa al miglioramento delle condizioni di vita delle classi diseredate.
Quindi, calma con le etichette: piuttosto, non stanchiamoci di ragionare! I giudizi condizionano l’opinione pubblica, nel bene e nel male e, onestamente, considero più populista (nell’accezione negativa del termine) un titolo giornalistico come quello di oggi del Fatto Quotidiano, piuttosto che un Presidente che nell’Inaugution-Day dice che “non c’è niente da celebrare per le famiglie che faticano ad arrivare a fine mese“.
Il Fatto insiste nel giudizio :”Un discorso intriso di pesante nazionalismo, di isolazionismo e protezionismo, con accenti esplicitamente xenofobici, rivolto anzitutto al suo popolo, a chi l’ha seguito durante tutta la campagna elettorale e che l’ha votato” ed azzarda un anacronistico collegamento col vecchio isolazionismo del periodo coloniale che tornerebbe, dunque, ad essere un pilastro della politica estera americana.
Anche in questo giudizio le forzature sono evidentemente devastanti per la buona e corretta informazione. A meno che neppure l’inglese scolastico mi salvi da un’assoluta ignoranza linguistica, quello che ho tradotto del discorso di Trump è tutt’altro: un’agenda economica che punta a riportare in patria gli investimenti ed a favorire il prodotto nazionale, che è qualcosa di completamente diverso dall’evocato isolazionismo coloniale e dal protezionismo proibizionista americano degli anni venti!
Se poi a questi annunci di Trump, si aggiunge la sua promessa di “cancellare il terrorismo islamico dalla faccia della terra“,  pur non essendo americana mi sento rassicurata in quanto cittadina del mondo, piuttosto che allarmata come qualcuno vorrebbe forzando sulla sottesa (ma fin troppo chiara) preoccupazione dell’ingabbiamento della sinistra sotto Trump.
Purtroppo, l’onestà intellettuale latita e “Ci saranno sempre degli Eschimesi pronti a dettar norme su come devono comportarsi gli abitanti del Congo durante la calura” (Stanislaw Jerzy Lec).
di Michela Carlotti

lunedì 16 gennaio 2017

Configurare Idee: LA BUONA SCUOLA...A RICREAZIONE!

Configurare Idee: LA BUONA SCUOLA...A RICREAZIONE!: Dopo la pronuncia della Consulta che ha salvato di fatto l’impianto complessivo della Legge 107/2015, il Consiglio dei Ministri del 14 genn...

LA BUONA SCUOLA...A RICREAZIONE!

Dopo la pronuncia della Consulta che ha salvato di fatto l’impianto complessivo della Legge 107/2015, il Consiglio dei Ministri del 14 gennaio 2017 ha approvato 8 delle 9 deleghe previste. Materie oggetto delle deleghe: inclusione scolastica, cultura umanistica, diritto allo studio, formazione iniziale e accesso all'insegnamento nella scuola secondaria di primo e secondo grado, istruzione professionale, scuole italiane all'estero, sistema integrato di istruzione dalla nascita fino a sei anni, valutazione e certificazione delle competenze ed Esami di stato.

Materie delicate ed importanti, dunque, che secondo i sindacati avrebbero dovuto essere affrontate in maniera diversa, con un confronto reale e costruttivo tra le forze sindacali, le associazioni e le varie rappresentanze. La pressante sentenza europea che ha intimato la stabilizzazione degli insegnanti precari, ha però dettato i tempi di approvazione di un decreto che meritava più attenzione su alcune questioni sostanziali, ma anche merito. Nella sostanza, ad esempio, difficilmente saranno prodotte le 250 mila assunzioni attese.

Una delle questioni cruciali del pacchetto buona scuola, riguarda la riforma della formazione e del reclutamento del personale, per cui cambia l'iter di reclutamento dei docenti: spariscono le graduatorie ad esaurimento e viene prevista la partecipazione ad un concorso (che avrà una cadenza triennale) riservato ai laureati, il superamento del quale da diritto di accesso ad un percorso formativo triennale che si conclude con l'assunzione a tempo indeterminato. Naturalmente, i sindacati sono entrati a gamba tesa su questa questione, poiché non sono chiari i passaggi della fase transitoria prevista dal decreto per chi è già iscritto nelle graduatorie di istituto.

Tralasciando osservazioni prettamente tecniche sulla riforma avviata da Renzi nel 2015, mi concedo piuttosto un giudizio di merito su un aspetto particolare dell'impianto complessivo. A partire dalla questione appena esposta, si comprende che anche le insegnanti dell'asilo nido dovranno essere in possesso di laurea triennale.

Un balzello di non poco conto, entro un sistema-lavoro in cui al crescente livello di professionalità richieste per l'accesso alle varie competenze, non corrisponde una proporzionata offerta di lavoro. E' un fatto che per accedere ai concorsi per categorie D nella pubblica Amministrazione (e non stiamo parlando della NASA) non siano sufficienti le lauree magistrali umanistiche, e che pertanto un laureato in lettere (salvo particolari ed eccezionali concorsi) potrà concorrere solo per le categorie C, ovvero per quelle aperte ai diplomi generici.

Siamo spettatori di una sclerotizzazione della formazione professionalizzante, a cui non solo non corrisponde una proporzionata offerta lavorativa, ma a cui fa anche da contraltare un discapito generale della formazione culturale. Ciò è visibile nei dati in aumento del fenomeno di disaffezione ed abbandono (soprattutto tra i maschi nel corso delle scuole superiori) e nell'abbassamento dei livelli di capacità culturale che Tullio De Mauro, illustre italianista, storico e docente universitario, nonché Ministro dell'Istruzione per un breve periodo, aveva annunciato nel corso di un'intervista di circa un anno fa.

I sondaggi fatti durante l'appena trascorsa campagna referendaria, hanno confermato questi dati imbarazzanti che pongono l'Italia prima solo alla Spagna, tra i paesi ricchi in Europa, in termini di conoscenza e competenza. Ben oltre la metà degli italiani intervistati aveva dichiarato di non aver letto la Costituzione italiana attestando di fatto, con questa elevatissima percentuale, l'ampia fetta di popolazione che ha competenze minime per orientarsi nella società contemporanea.

E' evidente, dunque, l'esigenza di agganciare in primis la scuola ai valori fondanti della nostra società, a partire dai valori della Costituzione. Perfino i regimi dittatoriali di massa degli anni Trenta avevano ben compreso il potenziale enorme rappresentato dell'educazione scolastica: una vera e propria industria di reclutamento ove plasmare il consenso. Strumentalizzazioni a parte, va da sé che la scuola sia la culla del senso civico di una nazione: a partire da qui, non si può che biasimare la pressappochezza di una riforma che non incide nel quadro complessivo di riassetto e di organizzazione dell'intero sistema di istruzione.

In questo solco, Vi rimando alla petizione on line che ho lanciato sulla piattaforma change.org proprio in occasione del Referendum di modifica costituzionale: "Educazione civica nelle scuole". La petizione è un prezioso strumento di democrazia diretta, contemplato all'art. 50 della nostra Costituzione che recita:  "Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità".

Si tratta di una petizione di sensibilizzazione e come tale non abbisogna di soglie minime di firmatari. E' diretta al nostro Ministro della Pubblica Istruzione On. Valeria Fedeli ed ha questo contenuto: "I sondaggi referendari 2016 hanno rilevato che la Costituzione non è stata letta da ben oltre la metà degli italiani. Ciò è sintomatico dell'ignoranza politica a cui siamo esposti e formati. Si parla di partecipazione democratica, ma spesso non ne conosciamo le regole. Reintroduciamo l'insegnamento dell'Educazione Civica nelle scuole primarie di primo e secondo grado e l'insegnamento di Diritto Costituzionale in tutte le scuole superiori".

Se credete, sostenetela.





domenica 15 gennaio 2017

La questione morale - da Berlinguer a Grillo.

Era il 26 luglio del 1981 quando, in un'intervista destinata ad entrare nei manuali della storia, rilasciata al fondatore del quotidiano La Repubblica, Eugenio Scalfari, l'allora segretario del Partito Comunista Italiano, Enrico Berlinguer, per la prima volta chiariva cos'era la "questione morale": "I partiti hanno degenerato e questa è l'origine dei malanni d'Italia....I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali".

Prima di lui, già fin dagli albori della nostra vita repubblicana, alcuni illustri politologi avevano intravisto le prospettive degenerative intrinseche di un sistema partitico nazionale caratterizzato da alta frammentazione di potere. Il Testo costituzionale italiano aveva sancito per la prima volta in Europa la rilevanza costituzionale dei partiti politici, cui veniva dedicato un apposito articolo: "Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale" - art. 49 Costituzione. Ma già a partire dall'anno successivo all'entrata in vigore della nostra Costituzione, dopo la brevissima esperienza appena intercorsa di collaudo della nuova Repubblica dei partiti e con un certo anticipo rispetto alla grande disputa italiana sui partiti che esplode negli anni cinquanta, lo storico e filosofo del diritto Giacomo Perticone, nella sua relazione presentata nel settembre 1949 al Congresso di Scienze Politiche di Zurigo titolata "Rappresentanza Politica e partito nello Stato contemporaneo" (contenuta nell'opera"Scritti di filosofia giuridica e politica"), avrebbe dato inizio alla sua infaticabile polemica contro la partitocrazia.

La questione morale coincideva, allora, con "l'autocrazia di partito" ovvero con la fenomenologia di una forma-partito che, in quanto organizzata per la disciplina del voto, mette necessariamente in crisi la rappresentanza politica: "Plasticamente vediamo che: quanto più si allarga la base, tanto più si restringe l'apice del partito, fino alla punta di spillo" (G. Perticone, Partito politico in "Novissimo Digesto").

In buona sostanza la questione morale, con varianti di maggior o minor spessore, ha attraversato fin dalla sua nascita il sistema partitico nazionale e, credo di non sbagliare nel dare atto al Movimento Cinque Stelle di averla riproposta, pur con un maldestro tentativo più carico di contraddizioni che di sostanza, alla ribalta delle attuali questioni politiche nazionali. Non si risentano, quindi, gli studiosi della storia politica sempre poco inclini ad accostare la levatura dei nostri padri politici alla farraginosità delle personalità politiche odierne.

Ho già parlato a lungo delle contraddizioni a cinque stelle  ed anche della potenziale pericolosità insita nella destituzione totale del valore delle tradizionali categorie politiche  con la sistematica apologia del Blog assurto a fulcro dell'azione politica e dottrinaria, nel maldestro tentativo di sostituire la democrazia diretta a quella rappresentativa con regole che spesso rasentano l'incostituzionalità.

Basti pensare alle epurazioni/sospensioni/sanzioni previste in caso di mancato rispetto dei principi del Movimento e che, implicitamente impongono agli eletti un vincolo di mandato che contraddice il divieto di mandato imperativo sancito all'art. 67 della Costituzione "Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato".

Tale principio, era stato concepito proprio allo scopo, opposto a quello del M5S, di sganciare gli uomini politici dai possibili ricatti di partito, al fine di  garantire la democrazia impegnando l'eletto in via esclusiva al suo impegno politico, piuttosto che al potere del partito. Purtroppo, la storia ci ha anche insegnato di come gli abusi di questo principio abbiano consacrato forme degenerative di trasformismo politico, con le inevitabili frequenti instabilità derivate all'intero sistema politico nazionale.

Pur avendo avuto il merito di averne riproposta la valenza, il M5S non riesce però a portare a soluzione la questione morale che, infatti, non può in alcun modo derivare dalla pericolosa destituzione dei principi costitutivi dello Stato di Diritto che, ipse dixit, conduce alla negazione stessa dei principi democratici che si vogliono difendere.

Quid agendum? Resta da chiedere: come fare? Perticone parlava della partitocrazia come di un problema costituzionale : forse sarebbe ora di intervenire attraverso una revisione dell'intero sistema. A partire dal recupero ad opera della politica di una coerenza con sé stessa, per affrontare con doverosa serietà l'esigenza di produrre le necessarie modifiche, finanche costituzionali che favoriscano la partecipazione democratica e risolvano la distorsione in atto del concetto di rappresentanza politica.


sabato 14 gennaio 2017

Il dibattito sulla legge elettorale: a pensar male si fa peccato ma spesso s'indovina

In evidenza nell'agenda politica nazionale, c'è l'impegnativa questione che riguarda la legge elettorale. Fin dal suo discorso di insediamento, il Presidente del Consiglio Gentiloni aveva indicato la necessità di un sistema elettorale omogeneo tra Camera e Senato poiché oggi sono in vigore in Italia due leggi diverse ed incoerenti: il Consultellum per il Senato e l'Italicum per la Camera e, quest'ultima, potrebbe oltretutto risultare incostituzionale. 

Pertanto, al di là dalle urgenze gridate dalle varie forze politiche, un passaggio parlamentare sulla questione appare inevitabile e la durata dipende proprio dalla loro capacità di trovare un compromesso e dalla loro volontà di raggiungere un accordo il più rapido possibile sulle regole del gioco.

Pressoché tutte le forze politiche dicono di voler cambiare il vigente sistema elettorale, ma la sensazione è che nessuno sappia come, ed il timore è che nessuno lo voglia subito.

Così, per la seconda volta in un mese, la palla viene giocata in prima battuta dalla Consulta. Dopo il suo pronunciamento sui quesiti referendari proposti dalla CGIL sul Jobs Act, infatti, il 24 gennaio la Corte Costituzionale torna a tracciare in percorso, con l'avvio dell'esame sull'Italicum del quale, pare, potrebbe individuare almeno sei profili di incostituzionalità. I più importanti riguarderebbero il premio di maggioranza e la questione del ballottaggio che assegna un grosso premio di maggioranza, ma anche aspetti secondari come la presenza di "capilista bloccati" (già dichiarata incostituzionale nella precedente legge elettorale, il cosiddetto “Porcellum” poi corretto dalla Consulta nell'attuale legge "Consultellum").

L’Italicum, è una legge creata per garantire in ogni circostanza una netta maggioranza in Parlamento per chi ha un voto in più degli altri, entro un panorama politico non più bipolarista: un sistema studiato ad hoc, con forzatura maggioritaria, per disinnescare l’attuale tripolarismo italiano con un grosso premio di maggioranza che viene assegnato a chi ottiene il 40 per cento dei consensi su base nazionale o vince un ballottaggio tra i due partiti più votati.

In effetti, in presenza di una frammentazione elettorale in 3-4 blocchi di medie dimensioni (PD, M5S, Lega Nord e Forza Italia) un eventuale Parlamento riuscirebbe a formare una maggioranza solo grazie ad ampie ed instabili coalizioni: l’Italicum era stato pensato proprio come un compromesso per evitare questo risultato. D’altro canto, diventa difficile legittimare questa forzatura che assegna la maggioranza a una forza parlamentare votata soltanto da una minoranza dell’elettorato.

A complicare la situazione, c'è il fallimento del referendum che ha lasciato il Senato com’è adesso nella sua forma e nelle sue funzioni, con una situazione opposta. La legge elettorale, infatti, è il cosiddetto “Consultellum” che è un proporzionale quasi puro che fa l’esatto contrario dell’Italicum, ossia produce un’altissima frammentazione del voto e rende pressoché impossibile formare una maggioranza.

Per queste ragioni, tutti i partiti riconoscono la necessità di una legge elettorale organica, ma al momento le proposte in campo sono variegate e rispecchiano, inevitabilmente, le esigenze di risultato.

Il PD vuole andre al voto col "Mattarellum", che è la legge elettorale già in uso dal 1993 poi sostituita nel 2005 dal cosiddetto "Porcellum" che ha disciplinato l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica in Italia fino al 2013.  Il "Mattarellum" è un sistema che assegna il 75 per cento dei seggi col maggioritario ed il 25 per cento col proporzionale: è una legge elettorale proporzionale con premio di maggioranza e liste bloccate, che pertanto riunisce tre diverse modalità di ripartizione dei seggi (quota maggioritaria di Camera e Senato, recupero proporzionale al Senato, quota proporzionale alla Camera) e per tale ragione venne anche chiamato col nome del mostruoso essere della mitologia greca, "Minotauro" mezzo uomo e mezzo toro.

Lega Nord e Fratelli D'Italia appoggerebbero questa proposta. Forza Italia, invece, che non è più l'altro polo di un superato sistema bipolaristico, chiede una legge proporzionale così come le altre formazioni politiche più piccole che, naturalmente, chiedono soglie di sbarramento non troppo alte.

Il M5s, invece, se in un primo momento spingeva per le elezioni rapide a prescindere dalla sentenza della Consulta, oggi chiede di andare al voto subito DOPO il pronunciamento della Corte Costituzionale recependone le indicazioni.

In questa situazione, la decisione di affidare alla Consulta il compito di guidare il percorso di riforma della legge elettorale entro la nassa delle antagonistiche proposte dei vari partiti, naturalmente dettate dai loro primari bisogni di risultato, appare la soluzione più consona. Se poi, la legge elettorale emendata dalla Corte Costituzionale fosse immediatamente applicabile, la possibilità di andare alle urne in tempi brevi sarebbe davvero concreta: con buona pace di tutti quei politici che sperano in un rinvio dopo il mese di settembre, per garantirsi le proprie indennità.


Stando alle norme approvate nel 2012 che hanno introdotto il calcolo su base contributiva, infatti, i requisiti per il pensionamento di tutti i parlamentari alla prima legislatura prevedono il traguardo dei quattro anni, sei mesi e un giorno di lavoro in Aula. Dato che il Parlamento italiano si è insediato il 15 marzo del 2013, per avere il vitalizio la legislatura non dovrebbe terminare prima del 16 settembre 2017. A pensar male si fa peccato ma spesso si indovina, diceva qualcuno..

mercoledì 11 gennaio 2017

UN GIORNO IN EUROPA: TRASFORMISMO A CINQUE STELLE

E' durato solo un giorno lo slancio europeista di Grillo, esauritosi in un inane trasformismo.

Con un'iniziativa a sorpresa, o forse è meglio dire assunta d'imperio in barba ai diretti interessati, ovvero senza alcun preavviso per gli europarlamentari pentastellati, Grillo ha aperto le consultazioni on-line degli iscritti per decidere, tra le 10:00 di domenica e le 12:00 di lunedì, l’uscita dal gruppo dall'EFDD e l’ingresso nell’ALDE in Europa, poi ratificata con un inspiegabile 78,5% di voti favorevoli degli iscritti. 

L'euroscetticismo si sa, è sempre stato il cavallo di Troia della propaganda politica dei Cinque Stelle e non serve buona memoria per ricordarne i proclami. La recente campagna referendaria a favore del No alle modifiche costituzionali, è stata giocata proprio dai grillini con evidenti insistenze, nonché forzature, sullo spauracchio della fagocitazione eurocentrica della nostra sovranità nazionale.
Eppure, Grillo ha fatto l'azzardo, tentando l'ingresso nell'Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa (ALDE): proprio così, nel gruppo di orientamento liberale ed eurocentrista, presieduto dal quel Guy Verhofstadt che non più tardi di un anno fa, in un post del luglio del 2015 era stato definito dal gruppo europarlamentare del M5S “impresentabile” e descritto come «il politico che più dentro al Parlamento europeo incarna l’euroStatocentrismo».

Oltretutto, l'eurosvolta è stata motivata da Grillo con un proclama che ha il sapore del trasformismo riproposto, senza riserve, nella variante più sfrontata: "questa posizione ci avrebbe consentito di rendere molto più efficace la realizzazione del nostro programma": ovvero come conquista di un avamposto da utilizzare apertamente per i propri fini politici.

Ci ha pensato il capogruppo dell'ALDE a stoppare sul nascere questa virata al trasformismo politico a cui noi italiani, ahimé, siamo abituati fin dagli arbori della nostra democrazia, con sistematici abusi del divieto di mandiato imperativo sancito all'art. 67 del testo costituzionale e che proprio il Movimento 5 Stelle ha contestato a parole e nei fatti. 

Certamente affascinante, infatti, è stato il sibillino motto: "Il Movimento 5 Stelle garantisce ai cittadini che chi tra i suoi eletti non rispetta i principi a cui ha aderito come portavoce viene messo fuori dalla porta". Dal 2012 ad oggi è lunga la lista degli epurati, sospesi, sanzionati, con più di sessanta espulsi dal Movimento, senza possibilità di replica, in pseudo difesa dei principi di coerenza democrazia.

Così, all'indomani del niet dei liberali europei che ha ricacciato nell'EFDD il gruppo pentastellato, con proprio tornaconto del clemente Nigel Farage che, però, non ha risparmiato ai grillini di pagare pegno dettando dure condizioni nel corso della Skipe call conference di ieri con Grillo, siamo indotti a riflettere sulla credibilità del Movimento che ora ri-stazione nel gruppo degli euroscettici più per necessità che per virtù: l'uscita formale dei 17 eurodeputati del M5S dal gruppo EFDD avrebbe, infatti, comportato per i grillini la perdita di circa una ventina di funzionari di gruppo, l'esclusione dell'accesso alle cariche nelle Commissioni parlamentari e del potere di influenza sui principali dossier. 

"Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato" fu scritto all'art. 67 della nostra Carta fondamentale dai padri costituenti. Tale principio era stato concepito allo scopo di garantire la democrazia, ritenendo opportuno che ogni singolo parlamentare non fosse vincolato da alcun mandato né verso il partito cui apparteneva quando si era candidato, né verso il programma elettorale, né verso gli elettori che, votandolo, gli avevano permesso di essere eletto a una delle due Camere. La storia successiva, purtroppo, ci ha insegnato che le degenerazioni proprie della partitocrazia hanno affondato le loro radici nell'abuso di questo sacrosanto principio democratico che nasceva proprio allo scopo opposto di sganciare gli uomini politici dai possibili ricatti di partito.

Invero, il rapporto del Movimento 5 Stelle con il testo Costituzionale appare ad ogni occasione un rapporto conflittuale, ed anzi, strumentale. 

La svolta eurocentrica, letta come riproposizione degli usi e degli abusi delle consuetudini politiche nazionali e prima ancora, la svolta garantista con lo scudo pentastellato lanciato da Grillo a protezione della Sindaca Raggi, nonché la stessa battaglia per il NO alla riforma costituzionale che ha abbindolato i molti cittadini, lasciati poi a plaudire la grottesca riconferma delle tante (troppe) poltrone di Palazzo Madama: sono segnali che riallineano la posizione dei Cinque Stelle alle categorie classiche della politica nazionale. 

Tutto questo, però, a discapito dell'esclusività di un Movimento che ci aveva abituati a spallate indefesse al sistema politico vigente, con il ricorso a metodi che destituiscono del loro valore le tradizionali categorie politiche di cui, anzi, ne demoliscono spazi e luoghi a partire dalle nuove forme della partecipazione politica che si fonda sul reclutamento di rete ed affida la comunicazione politica in via esclusiva alle web cam. Esemplare in questo senso, il video messaggio con cui la Sindaca Raggi comunicava le dimissioni dell'Assessore Muraro. 

Ma, una volta messi in discussione gli usuali metodi di far politica, i nuovi capisaldi del Movimento Cinque Stelle avrebbero dovuto ergersi come roccaforti di un'ideologia trasversale coerente, senza cedere ad alcuna lusinga o tentazione opportunistica che, inevitabilmente, aprono una questione di credibilità. 

Allora, riguardando all'impegno dei grillini sui massimi sistemi, viene da chiedere quale ne sia il fondamento ideologico, se esiste, e nasce spontaneo il dubbio sulla validità delle prese di posizione assunte su questioni cruciali, come il referendum di modifica costituzionale: è arrivata l'ora che il Movimento 5 Stelle faccia chiarezza e, soprattutto, si costituisca partito. 

Ciò al fine di evitare di percorrere strade già battute, e di ridursi a clone del già sperimentato Movimento per le Libertà, ove le decisioni di un leader sono vincolanti per la base che, nel caso dei grillini, oltretutto rischia di smarrirsi nei sentieri impervi della ricerca di un'identità.


Valga per Grillo la lezione di Verhofstadt: un veto pubblico e chiaro ad operazioni di trasformismo, che nulla hanno a che vedere con ripensamenti chiari e sinceri (che sono altra cosa). Un buon incipit da cui ripartire, se non un epilogo su cui arretrare.